Noi seminatori di esperienza educativa
È proprio vero: alla fine non si inventa mai niente. A ricordarmelo, a Parma, è stato Filippo Dragotto, oggi baldanzoso ottantenne, storico dirigente del Csi. Sorseggiando un caffè di prima mattina mi ha detto: «Sai, 50 anni fa dicevamo che Csi vuol dire anche Centro dello Sport Italiano». Bravo, Filippo. In questo caso guardare indietro ci fa bene per guardare avanti. C’è stato un tempo (dagli anni ’50 ai ’70) nel quale la nostra Associazione era realmente un punto di riferimento per tutto lo sport italiano. Artemio Franchi, quando è stato eletto Presidente della Figc, era vicepresidente della commissione calcio del Csi; Filippo Dragotto, quando è diventato presidente della Federazione Tennis Tavolo, arrivava dritto dritto dal Csi. L’attività per disabili è stata introdotta nello sport italiano da dirigenti del Csi, che poi hanno ricoperto incarichi anche nella federazione mondiale dei ciechi. E sono solo alcuni tra i tanti esempi possibili. In pratica in quegli anni le migliori eccellenze del Csi erano destinate a “contaminare” il mondo del Coni e dello sport italiano portandovi la sensibilità educativa dell’Associazione. Non solo: Le altre eccellenze (dirigenti e tecnici) dello sport italiano guardavano al Csi come ad un mondo straordinariamente affascinante, colpiti dai valori e dall’umanità della nostra Associazione. Poi le cose sono cambiate. In un contesto storico che rendeva giustamente necessaria la scelta, il meccanismo di reciprocità si è interrotto. Ora, forse, i tempi sono nuovamente cambiati. Tra le responsabilità di oggi torniamo ad avvertire quella di fare del Csi un “centro di riferimento dello sport italiano”. Da questo punti di vista è stato veramente emozionante vivere l’Agorà. A Parma abbiamo incontrato tantissima gente che ha ruoli di responsabilità nel sistema sportivo italiano, tutti rimasti colpiti e affascinati dalla nostra associazione. C’è nell’aria il desiderio vero di fare di più per dare forza ai valori dello sport ed alle sue potenzialità educative. C’è bisogno in questo senso di un “centro di gravità permanente” capace di essere punto di riferimento, di coordinare e valorizzare le sensibilità e l’impegno di tutti. Con umiltà, credo che questa responsabilità tocchi a noi. Non ci spaventa. Al contrario ci entusiasma e ci sprona a seminare passione educativa in ogni ambito ed in ogni contesto. In questo senso l’Agorà è stato come un gol in trasferta in Champions League: una volta segnato, vale oro, e non lo dimentichi più.